Panta rei - Inattesi incontri
Riflessioni...

mercoledì 4 maggio 2011

Silvia, On my own, 13anni




..hahaha.. che ho ritrovatoooo! una vecchia registrazione.. "out hearSss! " xD hahaha.. che carina ^_^

venerdì 29 aprile 2011

Il grande Leonardo! Flower of life!


... il Grande Leonardo aveva già capito tutto.... :)

lunedì 25 aprile 2011

Rodolfo Siri - Breathing (Nel Respiro)



"Il respiro è il ponte che connette la vita alla coscienza,
che unisce il corpo ai pensieri"
- Thich Nhat Hanh -


"Breathing (Nel Respiro)" di Rodolfo Siri

Il sorriso del Buddha




Ai piedi dell’albero di pippala l’eremita Gautama raccolse il suo formidabile potere di concentrazione nell’esame del corpo. Vide che ogni cellula è come una goccia d’acqua immersa nel fiume infinito di nascita esistenza e morte, senza riuscire a trovare nel corpo una sola cosa che rimanga immutata o di cui sia lecito dire che costituisca un sé separato. Mescolato con il fiume del corpo scorre il fiume delle sensazioni, in cui ogni goccia d’acqua è una sensazione. E anche queste gocce si accavallano in un processo di nascita esistenza e morte. Alcune sensazioni sono piacevoli, altre spiacevoli e altre ancora neutre, ma tutte sono impermanenti. Appaiono e scompaiono, precisamente come le cellule del corpo.

Con potente concentrazione Gautama investigò il fiume delle percezioni, che scorre intrecciato al fiume del corpo e delle sensazioni. Le gocce del fiume delle percezioni si frammischiano influenzandosi l’un l’altra, in un identico processo di nascita esistenza e morte. Se le percezioni sono accurate, la realtà si rivela; se sono distorte, si svela. Gli uomini sono eternamente preda della sofferenza a causa delle percezioni distorte: credono permanente ciò che è impermanente, dotato di un sé ciò che è privo di un sé, soggetto a nascita e morte ciò che non soffre né nascita né morte, e dividono ciò che non si può dividere.

Quindi illuminò di consapevolezza gli stati mentali che causano la sofferenza: paura, ira, odio, arroganza, gelosia, avidità, ignoranza. La consapevolezza divampò in lui come un solo radiante, e Gautama usò il sole della consapevolezza per illuminare la natura di questi stati mentali negativi. Vide come tutti nascono a causa dell’ignoranza. Sono l’esatto contrario della consapevolezza. Sono tenebra, assenza di luce. Vide che la chiave per giungere alla liberazione è perforare l’ignoranza e penetrare nel cuore della realtà per farne esperienza diretta. Tale conoscenza non è più conoscenza intellettuale, ma esperienza diretta.

In passato, Siddhartha aveva esplorato molti modi per vincere la paura, l’ira e l’avidità, ma i metodi usati non avevano dato frutto perché non erano che tentativi di sopprimere sensazioni ed emozioni. Ora capiva che anch’essi erano causati dall’ignoranza e che, liberandosi dall’ignoranza, le ostruzioni mentali svaniscono da sé, come le ombre al sorgere del sole. La visione profonda di Siddhartha era il frutto della sua grande concentrazione.

Sorrise e levò lo sguardo a una foglia di pippala stagliata contro il cielo azzurro, la cui punta ondeggiava verso di lui come se lo chiamasse. Osservandola in profondità, Gautama vi distinse chiaramente la presenza del sole e delle stelle; perché senza sole, senza luce e calore, quella foglia non sarebbe esistita. Questo è in questo modo, perché quello è in quel modo. Anche le nuvole vide nella foglia, perché senza nuvole non c’è la pioggia e, senza pioggia, quella foglia non poteva esistere. E vide la terra, il tempo, lo spazio, la mente: tutti presenti nella foglia. In verità, in quel momento preciso, l’universo intero si manifestava nella foglia. La realtà della foglia era un miracolo stupefacente.

Generalmente si pensa che una foglia sia nata a primavera, ma Gautama vide che esisteva già da tanto, tanto tempo nella luce del sole, nelle nuvole, nell’albero e in se stesso. Comprendendo che quella foglia non era mai nata, comprese che anche lui non era mai nato. Entrambi, la foglia e lui stesso, si erano semplicemente manifestati. Poiché non erano mai nati, non potevano morire. Questa visione profonda dissolse le idee di nascita e morte, di comparsa e scomparsa; e il vero volto della foglia, assieme al suo stesso volto, divennero manifesti. Vide che è l’esistenza di ciascun fenomeno a rendere possibile l’esistenza di tutti gli altri fenomeni. L’uno contiene il tutto, e il tutto è contenuto nell’uno.

La foglia e il suo corpo erano una cosa sola. Nessuno dei due possedeva un sé permanente e separato, nessuno dei due poteva essere indipendente dal resto dell’universo. Vedendo la natura interdipendente di tutti i fenomeni, Siddhartha ne vide perciò la natura vuota: tutte le cose sono vuote di un sé separato e isolato. Comprese che la chiave della liberazione sta nei due principi dell’interdipendenza e del non sé. Le nuvole correvano nel cielo, come uno sfondo bianco dietro la foglia traslucida di pippala. Forse quella sera stessa, incontrando una corrente fredda, le nuvole si sarebbero trasformate in pioggia. Le nuvole erano una manifestazione, e la pioggia un’altra manifestazione. Le nuvole, che non erano mai nate, non sarebbero mai morte. Se le nuvole potessero capirlo, pensò Gautama, avrebbero certo cantato di gioia cadendo sotto forma di pioggia sulle montagne, le foreste e le risaie.

Illuminando i fiumi del corpo, delle sensazioni, delle percezioni, delle formazioni mentali e delle coscienza, Siddhartha comprese che l’impermanenza e l’assenza di un sé sono le condizioni indispensabili alla vita. Senza impermanenza, senza mancanza di un sé, nulla potrebbe crescere ed evolversi. Se un chicco di riso non avesse la natura dell’impermanenza e del non sé, non potrebbe trasformarsi una piantina. Se le nuvole non fossero prive di un sé e impermalenti, non potrebbero trasformarsi in pioggia. Senza natura impermanente e priva di un sé, un bambino non potrebbe diventare adulto. “Quindi” pensò, “accettare la vita significa accettare l’impermanenza e l’assenza di un sé. La causa della sofferenza è la falsa nozione della permanenza e di un sé separato. Vedendo ciò, si giunge alla comprensione che non c’è né nascita né morte, né creazione né distruzione, né uno né molti, né dentro né fuori, né grande né piccolo, né puro né impuro. Sono tutte false distinzioni create dall’intelletto. Penetrando nella natura vuota delle cose, le barriere mentali vengono scavalcate e ci si libera dal ciclo della sofferenza”.

Una notte dopo l’altra Gautama meditò ai piedi dell’albero di pippala, facendo splendere la luce della consapevolezza sul suo corpo, la sua mente e tutto l’universo. Da tempo i cinque amici l’avevano abbandonato, ed erano rimasti a praticare con lui la foresta, il fiume, gli uccelli e le miriadi di insetti che abitano la terra e gli alberi. Suo fratello nella pratica era il grande albero di pippala. Anche la stella della sera che appariva ogni notte mentre sedeva in meditazione era suo fratello nella pratica. Fino a notte fonda meditava Gautama.

I bambini del villaggio andavano a trovarlo solo nelle prime ore del pomeriggio. Un giorno Sujata gli portò riso cotto nel latte e nel miele, e Svasti una bracciata di erba kusa. Dopo che Svasti l’ebbe lasciato per ricondurre i bufali a casa, Gautama fu invaso dalla sensazione che quella notte stessa avrebbe ottenuto il Grande Risveglio. La notte precedente aveva fatto molti sogni strani. Nel primo, vide se stesso disteso su un fianco, che con le ginocchia sfiorava l’Himalaya, con la mano sinistra toccava la riva del Mare Orientale, con la destra la riva del Mare Occidentale, e con i piedi poggiava sulla riva del Mare Meridionale. Nel secondo sogno, un fiore di loto grande come la ruota di un carro sbocciava dal suo ombelico e cresceva fino alle nuvole più alte. Nel terzo, uccelli di ogni colore, in numero incalcolabile, volavano verso di lui da tutte le direzioni. Quei sogni gli sembravano il presagio che il Grande Risveglio fosse vicino.

Nelle prime ore della sera praticò la meditazione camminata lungo la riva del fiume. Entrò nell’acqua e si bagnò. Al crepuscolo ritornò a sedere sotto il familiare albero di pippala. Sorrise guardando l’erba kusa sistemata di fresco ai piedi dell’albero. Proprio meditando sotto quell’albero aveva fatto tante importanti scoperte. Ora, il momento che aveva tanto atteso si avvicinava. La porta dell’Illuminazione stava per spalancarsi.

Lentamente Siddhartha si sedette nella posizione del loto. Guardò il fiume che scorreva placido in lontananza, mentre la brezza accarezzava l’erba della riva. La foresta era in pace, anche se piena di vita. Miriadi di insetti gli ronzavano intorno. Rivolse la consapevolezza al respiro e socchiuse gli occhi. Nel cielo comparve la stella della sera.


Grazie alla presenza mentale, la mente, il corpo e il respiro di Siddhartha erano perfettamente unificati. La pratica della presenza mentale l’aveva reso capace di sviluppare grandi poteri di concentrazione che ora poteva usare per illuminare di consapevolezza corpo e mente. Entrato in meditazione profonda iniziò a percepire la presenza di infiniti altri esseri, nel momento presente, entro il suo stesso corpo. Esseri organici e inorganici, minerali, muschi ed erbe, insetti, animali e persone… tutti erano dentro di lui. Vide che gli altri, in quel preciso momento, erano lui stesso. Vide le proprie vite passate, con tutte le nascite e le morti. Assistette alla creazione e alla distruzione di migliaia di mondi e di migliaia di stelle. Provò le gioie e le pene di tutti gli esseri viventi, di quelli nati da un grembo, nati da un uovo e nati dalla scissione, dividendosi in due creature nuove. Vide che ogni cellula del proprio corpo conteneva tutto ciò che è nel cielo e sulla terra, abbracciando insieme il passato, il presente e il futuro. Era la prima veglia della notte.

Gautama si calò ancora più profondamente nella meditazione. Vide come innumerevoli mondi nascono e muoiono, come vengono creati e distrutti. Vide gli esseri innumerevoli passare attraverso nascite e morti incalcolabili. Vide che le nascite e le morti non sono che apparenze, e non la realtà, così come milioni di onde si alzano senza posa dalla superficie dell’oceano e vi sprofondano, mentre l’oceano è al di là di nascita e morte. Se le onde potessero comprendere di essere anch’esse acqua, trascenderebbero la vita e la morte e raggiungerebbero la pace interiore, superando tutte le paure. Tale comprensione gli consentì di trascendere la rete della nascita e della morte, e Gautama sorrise. Il suo sorriso era simile a un fiore schiusosi nell’oscurità della notte irradiando un alone di luce. Era il sorriso di una comprensione meravigliosa, la visione della distruzione di ogni contaminazione. Era la seconda veglia.

In quel preciso momento si udì un tuono, mentre lampi di luce guizzavano come per squarciare il cielo. Nuvole nere nascosero la luna e le stelle. Cadde la pioggia. L’acqua inzuppava Gautama che non si mosse, perseverando nella meditazione.

Senza vacillare, illuminò di consapevolezza la propria mente. Vide che gli essere soffrono perché non comprendono che partecipano della stessa natura di tutti gli esseri. L’ignoranza dà nascita a un’infinità di pene, di confusione e difficoltà. Avidità, ira, arroganza, dubbio, gelosia e paura, affondano tutti le radici nell’ignoranza. Imparando a calmare la mente per vedere più a fondo nella vera natura delle cose, possiamo giungere alla comprensione globale che dissolve ogni ansia e ogni dolore, sostituendoli con l’accettazione e l’amore.

Gautama vide che comprensione e amore sono un’unica cosa. Senza comprensione non vi può essere amore. Il carattere degli uomini è il prodotto di condizioni fisiche, emotive e sociali. Questa comprensione ci impedisce di odiare anche chi agisce crudelmente e ci spinge a fare qualcosa per cambiare quelle condizioni. La comprensione origina compassione e amore, i quali a loro volta determinano la giusta azione. Per poter amare, bisogna prima comprendere; ed ecco che la comprensione si rivela la chiave della liberazione. Per sviluppare la chiara comprensione è necessario vivere in presenza mentale, in diretto contatto con la vita nel momento presente, vedendo la realtà di quanto avviene dentro e fuori noi stessi. La pratica della consapevolezza rafforza la capacità di guardare il profondità. Se sappiamo vedere dentro il cuore delle cose, le cose si riveleranno. Questo è il tesoro segreto della presenza mentale: essa conduce alla liberazione e all’illuminazione. La vita viene illuminata da retta comprensione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retti mezzi di sussistenza, retto sforzo, retta presenza mentale e retta concentrazione. Siddhartha la chiamò ariya-marga, il Nobile Sentiero.

Guardando in profondità nei cuori degli esseri, Siddhartha poté vedere con chiarezza ogni mente, a qualunque distanza, e udì tutte le grida di dolore e di gioia. Raggiunse lo stato della vista divina, dell’udito divino e la capacità di percorrere infinite distanza senza muoversi. Era la fine della terza veglia, e i tuoni erano cessati. Le nuvole si dileguarono, rivelando lo splendore della luna e delle stelle.

Per Gautama fu come se la prigione che lo racchiudeva da migliaia di esistenze fosse crollata. Il carceriere era l’ignoranza. Solo l’ignoranza aveva oscurato la sua mente, così come le nuvole avevano nascosto la luna e le stelle. Velata da onde infinite di pensieri illusori, la mente aveva diviso in maniera fallace la realtà in soggetto e oggetto, io e gli altri, esistenza e non esistenza, nascita e morte, e da tali discriminazioni erano sorte le visioni errate, le prigioni della sensazione, del desiderio, dell’attaccamento e del divenire. La sofferenza della nascita, della vecchiaia, della malattia e della morte, non fa altro che rendere le mura più spesse. L’unica cosa da fare era acciuffare il carceriere e guardarlo in faccia. Ed ecco che il carceriere è l’ignoranza. L’ignoranza era stata vinta percorrendo il Nobile Ottuplice Sentiero. Una volta scomparso il carceriere, anche la prigione svanisce per non venire ricostruita mai più.

Sorridendo, l’eremita Gautama sussurrò tra sé: “Carceriere, ora ti conosco. Per quante esistenze mi hai tenuto prigioniero di nascita e morte? Ma ora vedo il tuo vero volto, e d’ora in avanti non potrai più costruire prigioni attorno a me”.

Siddhartha alzò gli occhi. La stella del mattino si levava all’orizzonte, vivida come un diamante. Quante volte l’aveva guardata sedendo sotto l’albero di pippala, ma ora era come se la vedesse per la prima volta. Aveva lo stesso bagliore, lo stesso sorriso trionfante dell’Illuminazione. Siddhartha guardò la stella del mattino e, colmo di compassione, esclamò: “Tutti gli esseri hanno in sé i semi dell’Illuminazione, eppure affoghiamo nell’oceano di nascita e morte per migliaia di esistenze!”.

Siddhartha capì di avere trovato la Grande Via. Aveva raggiunto lo scopo: il suo cuore era in pace e in perfetto benessere. Ripensò agli anni di ricerca, colmi di delusioni e fatiche. Ripensò al padre, alla madre, alla zia, a Yasodhara, a Rahula e agli amici. Rivide il palazzo, Kapilavatthu, il suo popolo, il suo paese e tutti coloro che vivevano tra gli stenti e la povertà, specialmente i bambini. Si ripromise di trovare il modo per comunicare quanto aveva appena scoperto e aiutare gli altri a liberarsi dalla sofferenza. Dalla sua profonda conoscenza era nato un immenso amore per tutti gli esseri.

Lungo il fiume, fiori dai vivaci colori si aprivano ai primi raggi del sole. Il sole danzava tra le foglie e scintillava sull’acqua. La sofferenza di Siddhartha era svanita e si rivelava la meraviglia della vita. Tutto assumeva un aspetto nuovo. Che meraviglia i cieli azzurri e le nuvole bianche! Gli parve che lui e l’intero universo fossero stati appena creati.

In quel momento giunse Svasti. Vedendo il giovane guardiano di bufali corrergli incontro, Siddhartha sorrise. Ma Svasti si fermò di colpo e lo fissò a bocca aperta.

“Svasti!”, lo chiamò Siddhartha.

“Maestro!”, rispose il ragazzo, riprendendosi.

Svasti giunse le mani e si inchinò. Fece alcuni passi avanti e si fermò di nuovo, guardandolo con soggezione. Confuso dal suo stesso comportamento, disse esitando: “Maestro, come sembri diverso oggi!”.

Siddhartha gli fece cenno di avvicinarsi. Lo prese tra le braccia e chiese: “Che differenza vedi?”.

“È difficile esprimerlo”, rispose il ragazzo guardandolo bene. “Sembri diverso. È come se tu, se tu fossi una stella”.

Siddhartha lo accarezzò sulla testa: “Davvero? Che cos’altro sembro?”.

“Sembri un fiore di loto che si è appena aperto. Sei come, come la luna sul picco Gayasisa”.



– da “Vita di Siddhartha il Buddha” di Thich Nhat Hanh

La guarigione psicomagica - di Alejandro Jodorowsky



La psicomagia tenta di far guadagnare tempo, accelerando la presa di coscienza: così come una malattia può manifestarsi all’improvviso, anche la guarigione può arrivare repentinamente. Una malattia improvvisa viene chiamata disgrazia, una guarigione repentina miracolo. Eppure entrambe hanno un’unica radice: sono manifestazioni del linguaggio dell’inconscio. Grazie a una veloce analisi tramite i tarocchi, grazie a una profonda comprensione mediante lo studio delle ripetizioni all’interno dell’albero genealogico e grazie alle azioni psicomagiche, possiamo avvicinarci alla pace interiore che è il frutto della scoperta della nostra vera identità; e questo ci consente di vivere con gioia e di morire senza angosce, sapendo che non abbiamo sprecato il nostro passaggio in questo sogno che chiamiamo “realtà”. Eppure, per quanto validi possano essere questi interventi, se il sofferente non mette tanta energia quanta il terapeuta, se non porta a termine una mutazione mentale, l’intero lavoro si limita a sedare i sintomi: sembra eliminare il dolore ma lascia intatta la ferita che continua a oscurare con la sua ombra angosciante la totalità dell’individuo. Chi viene a consultarmi chiede aiuto ma nello stesso tempo lo rifiuta. L’atto terapeutico è una strana battaglia: si lotta strenuamente per aiutare qualcuno che innalza tutte le barriere possibili per provocare il fallimento della guarigione. In un certo senso, per chi è malato il guaritore è una speranza di salvezza e contemporaneamente un nemico. Chi soffre teme che gli venga rivelata la fonte del suo male di vivere, per cui vuole un sedativo, vuole che qualcuno lo renda insensibile al dolore, ma non desidera assolutamente cambiare, non vuole che gli si dimostri che i suoi problemi sono la protesta di un’anima rinchiusa nella prigione di un’identità fasulla. [...]

Il cervello umano reagisce come un animale, difende il proprio territorio identificandolo con la propria vita. Fanno parte di questo spazio, delimitato con l’orina e gli escrementi, i genitori, i fratelli, i partner, i collaboratori e, soprattutto, il corpo. Ma chi è il padrone? È un individuo con limitazioni che corrispondono al proprio livello di coscienza. Più il livello di coscienza è elevato, più grande è la libertà. Per raggiungere tale grado di libertà, nel quale il territorio non si limita più a una manciata di metri quadrati o a un piccolo gruppo di soci, ma è l’intero pianeta e la totalità degli uomini, o meglio ancora, l’universo intero e la totalità degli esseri viventi, innanzitutto occorre cicatrizzare la ferita originaria, liberarsi dai condizionamenti fetali, poi da quelli famigliari e infine da quelli sociali. Per realizzare la mutazione nella quale il sofferente, avendo lasciato perdere ogni pretesa, riesce a vivere con gratitudine il miracolo di essere vivo, occorre essere consapevoli dei propri meccanismi di difesa. E sono i meccanismi che tutti gli animali impiegano per sfuggire ai nemici predatori. Sanno incistarsi e anche fingere di essere morti, si arrotolano su se stessi, si ricoprono di squame chitinose, si nascondono nel fango, trattengono il respiro e perfino i battiti del cuore. L’essere umano fa lo stesso: si blocca, finisce in un circolo vizioso di gesti ripetitivi, desideri, emozioni, pensieri, e vegeta in questi limiti ristretti rifiutando ogni informazione nuova, immerso nell’incessante ripetizione del passato. Per fuggire dalle profondità, si lascia vivere galleggiando sopra un tessuto di sensazioni superficiali, come anestetizzato. [...]

Fondamentalmente, ogni malattia è una mancanza di consapevolezza impregnata di paura. Tale incoscienza nasce da un divieto imposto senza fornire spiegazioni, che la vittima deve accettare anche se è incomprensibile. Si pretende che il bambino non sia quello che è, se disobbedisce viene castigato. E il castigo più grande è non essere amato.

Lo psicosciamano, così come il guaritore primitivo, mentre opera deve eludere non soltanto le difese del paziente ma anche le sue paure. L’educazione puramente razionale ci vieta di usare il corpo nella sua completa estensione in quanto la pelle viene considerata come il confine di noi stessi, e così ci fa credere che sia normale vivere in uno spazio limitato. Questo genere di educazione spoglia il sesso di ogni potere creativo dandoci l’illusione di vivere soltanto un tempo breve e negando così l’eternità della nostra essenza. Estirpa i sentimenti sublimi dal centro emotivo attraverso una filosofia che punta a sminuire la persona, per inculcarci la paura del cambiamento e mantenerci a un livello di coscienza infantile dove si venera la sicurezza venefica e si detesta la salutare incertezza. Con ogni mezzo, appoggiandosi a dottrine politiche, morali e religiose, ci fa disconoscere il potere della nostra mente.

Se la realtà è come un sogno, dobbiamo agire senza subirla, così come facciamo in un sogno lucido, ben sapendo che il mondo è quello che crediamo che sia. I nostri pensieri attraggono i loro simili. Verità è quello che è utile, non soltanto per noi ma anche per gli altri. Tutti i sistemi che in un momento ben preciso sono necessari, in seguito diverranno arbitrari e noi abbiamo la libertà di cambiare sistema. La società è il risultato di quello che lei crede di essere e di quello che noi crediamo che sia. Possiamo cominciare a cambiare il mondo cambiando i nostri pensieri.

La pelle non è la nostra barriera: non esistono limiti. Gli unici limiti positivi sono quelli che ci servono, momentaneamente, per sottolineare la nostra individualità, ma con la consapevolezza che tutto è collegato. La separazione è un’illusione utile, come quando il guaritore sistema una corda attorno al collo del paziente per fargli capire che deve assumersi la responsabilità della propria malattia e non diffonderla. La guarigione miracolosa è possibile ma dipende dalla fede del malato. Lo psicosciamano deve guidare il paziente con accortezza, per farlo credere in ciò in cui lui crede. Se il terapeuta non crede, non c’è guarigione possibile.

La vita è fonte di salute, ma questa energia scaturisce soltanto nei punti in cui concentriamo la nostra attenzione. E questa attenzione non deve essere soltanto mentale ma anche emotiva, sessuale e corporea. Il potere non risiede né nel passato né nel futuro, che sono le sedi della malattia: la salute si trova qui, adesso. Possiamo abbandonare immediatamente le cattive abitudini se la smettiamo di identificarci con il passato. Il potere dell’“adesso” cresce insieme all’attenzione sensoriale. Dobbiamo condurre il paziente a esplorare il momento attuale, dobbiamo renderlo consapevole dei colori, delle linee, dei volumi, delle dimensioni, delle ombre, degli spazi che esistono fra gli oggetti. Deve sentire ogni singola parte del suo corpo per poi riunirle in un tutto unico; deve trasformare il respiro in piacere, deve captarne il calore e l’energia dentro e fuori di sé, deve capire che amare significa essere contenti di ciò che si è e di ciò che sono gli altri. L’amore cresce nella misura in cui la critica diminuisce: è tutto vivo, sveglio, e risponde. Tutto acquista potere se è il paziente a darglielo... Una madre faceva seguire un trattamento fitoterapeutico al proprio figlio: doveva fargli bere dell’acqua in cui aveva diluito quaranta gocce di un misto di oli essenziali, ma si rendeva conto che la situazione non migliorava. Le dissi: “Il problema è che non credi in questa medicina. Poiché sei di religione cattolica, ogni volta che gli farai bere le gocce, recita un padrenostro”. Così fece e il bambino guarì rapidamente. Se non diamo alla medicina un potere spirituale, non può avere effetto.

È bene sottolineare qui l’importanza dell’immaginazione. In questo libro ho fatto un esercizio: ho scritto un’autobiografia immaginaria, anche se non nel senso di “fittizia”, dato che tutti i personaggi, i luoghi e i fatti narrati sono veri, ma nel senso che la storia profonda della mia vita è il risultato di uno sforzo costante per stimolare la mia fantasia, ampliarne i limiti, per apprenderne il potenziale terapeutico e trasfiguratore. Oltre all’immaginazione intellettuale, esistono l’immaginazione emotiva, sessuale, corporale, sensoriale. L’immaginazione economica, mistica, scientifica, poetica. È presente in tutti i campi, compresi quelli che consideriamo “razionali”. Perciò dobbiamo svilupparla per affrontare la realtà, non partire da una prospettiva unica ma da molteplici angoli visuali.

Il nostro abituale parametro di valutazione è l’angusto paradigma delle nostre credenze e dei nostri condizionamenti. Della realtà misteriosa, vasta e imprevedibile, percepiamo soltanto ciò che filtra attraverso il nostro minuscolo punto di vista. L’immaginazione attiva è la chiave di una visione più ampia, permette di mettere a fuoco la vita da punti di vista che non sono i nostri, immaginando altri livelli di coscienza superiori al nostro. Se fossi una montagna o il pianeta o l’universo, che cosa direi? Che cosa direbbe un grande maestro? E se Dio parlasse attraverso la mia bocca, quale sarebbe il suo messaggio? E se io fossi la Morte?... Quella Morte che mi è stata rivelata da un cane che ha posato ai miei piedi un sassolino bianco, la stessa che mi ha separato dal mio Io illusorio facendomi fuggire dal Cile e spingendomi a cercare disperatamente il senso della vita. La stessa Morte che da terribile nemica è diventata una gentile dama di compagnia.

Per concludere, vorrei ritornare alla mia giovinezza e appollaiarmi di nuovo sul ramo di un albero insieme al mio amico poeta, e come quella volta indimenticabile vorrei dedurre dal molto che non sappiamo quel poco di prezioso che sappiamo:


Non so dove vado, ma so con chi vado.
Non so dove sono, ma so che sono in me.
Non so che cosa sia Dio, ma Dio sa che cosa sono.
Non so che cosa sia il mondo, ma so che è mio.
Non so quanto valgo, ma so non fare paragoni.
Non so che cosa sia l’amore, ma so che godo della tua presenza.
Non posso evitare i colpi, ma so come sopportarli.
Non posso negare la violenza, ma posso negare la crudeltà.
Non posso cambiare il mondo, ma posso cambiare me stesso.
Non so che cosa faccio, ma so che sono fatto da ciò che faccio.
Non so chi sono, ma so che non sono colui che non sa.




- da “La danza della realtà” di Alejandro Jodorowsky -

"Teardrop" - Massive Attack

mercoledì 20 aprile 2011

Geomanzia, Feng Shui


La parola Geomanzia fa riferimento a due settori della conoscenza diversi fra loro. Nel primo ambito, le cui basi sono di origine cinese, si parla su come di manifesta l’energia universale (Feng Shui) sulla terra, mentre nel secondo ci si riferisce ad una arte divinatoria. È possibile rintracciare delle notizie sulla geomanzia risalenti già all’era neolitica in cui Romani Celti e Bizantini ne facevano uso. Essi, infatti, orientavano abitazioni e edifici in relazione ai punti cardinali o addirittura gli astri. Ciò avveniva in quanto vi era una visione globale dell’universo, dove ogni elemento è connesso a tutti gli altri. Da questo deriva la ricerca e la collocazione del campo energetico “uomo” all’interno del campo energetico “pianeta”. Tra questi due sistemi è possibile individuare una serie di relazioni in cui tutte le parti sono reciprocamente legate tra di loro. L’equilibrio che si instaura tra entrambi i sistemi, derivato dalle intrinseche forze energetiche interne, permette di trovare benessere e armonia. La geomanzia, però, può semplicemente essere una tecnica per prevedere il futuro. Questo metodo divinatorio non presuppone grandi doti medianiche o extrasensoriali ma impegno, dedizione e passione. Seconda questa interpretazione il termine “Geomanzia” avrebbe un’origine greca dove “geo”, significa “terra”, e “manteia”, ovvero “divinazione”. In generale l’origine non è del tutto chiara. Alcuni ritengono che i padri fondatori siano i Persiani chi invece pensa siano gli Arabi. Si narra che già gli uomini primitivi leggessero nelle costellazioni una sorta di messaggio dettato dagli Dei e che cercavano poi di interpretarlo in modo da poter “predire” ciò che indicato proprio dagli stessi Dei e di conseguenza il futuro. Quegli uomini cercano di riprodurre i medesimi messaggi sulla terra o sulla sabbia, così da poter imparare il loro linguaggio. Per questo la Geomanzia viene ritenuta uno dei metodi divinatori più antichi. È comunque generalmente accetta l’idea che la geomanzia abbia avuto origine in Persia, molti millenni fa. Successivamente tra il XIV e il XV secolo si cominciarono a trovare opere sulla Geomanzia e in seguito vennero approfonditi gli studi, alcuni dei quali mirati a rintracciare legami tra la geomanzia e l’astrologia. Oggi, grazia all’impulso dato dagli Arabi, questa tecnica divinatoria si è diffusa sia in occidente che in oriente. Anticamente, tale tecnica consisteva nel prendere tra le mani una certa quantità di terra e poi la si lanciava al suolo, delicatamente. Le forme che si creavano era oggetto di interpretazione da parte dell’indovino. Oggi invece, quest’arte definita “geomanzia sulla carta” inizia con la formulazione di una domanda e poi, ad occhi chiusi, con la matita si picchietta sul foglio formando, istintivamente dei cerchi disposti in sedici file. Alla fine di questa operazione questi segni vengono sistemati a coppie fino a che rimangono o una copia intera o un singolo segno.

Questa operazione si ripete per le sedici file, e i segni finali, doppi o unici, vengono raggruppati a quattro a quattro, in modo da ottenere quattro figure di quattro segni l'una, incolonnati. Queste prime quattro figure sono dette “le madri”. Da queste, ricomponendo i segni delle quattro madri linea per linea partendo dall'alto, si ricavano altre quattro figure chiamate “le figlie”. Poi, sommando i segni delle prime due e seconde due madri e delle prime due e seconde due figlie si ricavano altre quattro figure dette “le nipoti”, e poi da queste, sempre sommando i segni, singoli o doppi, i “due testimoni” detti “del passato e del futuro”, e infine dalla somma di questi due la sintesi soprannominato “il giudice”. Le figure che possono formarsi sono sedici, alcune portano beneficio altre hanno un carattere più negativo: popolus, via, caput draconis, puella, puer, cauda draconis, fortuna maior, carcer, fortuna minor, conjunctio, tristitia, laetitia, albus, rubeus, acquisitio, amissio.

martedì 12 aprile 2011

Pacco regalo

L' estetica...
imbelletto il mio involucro
colui che mi confina e mi definisce
su questa terra.. in questa società
tra gli uomini e le donne.
Corpo.. materia.. magnetico divisibile.
Crea il mio spazio.


Silvia Miccoli

lunedì 28 marzo 2011

Il minerale

Cuore freddo
bellissima caverna di stalattiti
costruita da secoli di sedimentazione
acqua che scende verso l' interno
Ma tutto avviene...
non c' è vita dentro
solo evanescenti suoni di gocce
crescimento di fatti
si solidificano dall' esterno
creatori di forma
anima senza spirito.



S.M

La mia volontà

Lei voleva apprendere

si abbattono le mura!

si perde la sicurezza

esce l' anima irascibile

La guerriera comincia la giusta esperienza
colei che doveva difendere per forza quelle mura...

supera il confine

libera si lascia andare

fuori!

oltre ogni limite

Lei voleva Essere.




Silvia M.


venerdì 25 marzo 2011

'essendo' ...un bacio

Voglio essere un bacio,

un bacio rosso!

un bacio dato con passione.

Un bacio non si chiede perchè

un bacio 'è'.


Superficiale intenso.

Sottile nutrimento d' amore,
un bacio che non pensa,
un bacio non si chiede il perchè!
un bacio senza parole,
un bacio si lascia andare,
Voglio essere un bacio per te.






Silvia Miccoli

martedì 22 marzo 2011

giovedì 10 marzo 2011

"solo io... sola...
così sensibile"

Sono magici questi suoni, hanno qualcosa di.. così sensibile..

...O forse sono io..
semplicemente io..
un' eco di me stessa
solo io... sola...
io che mi parlo..
io... che mi canto..
io... semplicemente e ispiegabilmente innamorata della musica;

io dolce,
io insicura,
io che tremo, io che ho paura

Paura di amare...
Amore...
io che eppure ti amo
io... e...
io è l' uomo
io...
che coraggio.

Silvia



venerdì 25 febbraio 2011

sabato 19 febbraio 2011

Assapora...

Assapora la tranquillità, la Divina quiete del cielo. Osserva la Saggia Calma del Creato. Cerca il silenzio. Riposa e sentiti come le stelle, i fiori, gli alberi tranquilli ed addormentati. Respira dolcemente.

Adiemus



Guardate la bellezza, la perfezione della natura!
come si può non amarla?! guardate cosa abbiamo!
come si può non essere felici! è stupendo!

Non persa...

il sentirsi confusi è preliminare, come il dolore, alla possibilità di Evoluzione.
Le Direzioni sono intuite attraverso la riflessione suscitata.
Come mani caritatevoli che ci fanno rientrare in corsia.
Le direzioni alla Via Maestra, come gli affluenti al proprio fiume e come questo all' immenso mare.
Dobbiamo voler sostenerci, dopo ripreso il cammino, da soli, per, a nostra volta,
essere in grado di divenire noi MANI caritatevoli, per esubero di Forza.

Alla mia dolce Amica.



giovedì 17 febbraio 2011

Contempla una foglia! e... Amala!

Amo!
Amo la vita!

Amo il giorno amo, amo questa pioggia!

Amo questa giornata di pioggia!

Se non ci fossero le nuvole non saremmo circondati dalla vita! Dal verde! dalle piante! ..Dobbiamo amare queste nuvole!

Dobbiamo amare la pioggia!

Non dobbiamo fermarci all' apparenza! ..anche se ci sembrano brutte..

Dobbiamo guardare oltre!

Sono bellissime queste nuvole!



Perchè nessuno ascolta più il canto degli uccelli?
Non lo sentite? loro cantano sempre!

Perchè non si apprezzano le piccole cose? tutto nasce da lì!

Guarda una foglia! Guarda la forma! i colori! guarda la vita di una foglia!

ti arricchirà!

Contempla le foglie!

pensa al mare alla montagna
al sole la luna
ai sorrisi
al fuoco all' acqua
ai ruscelli
ai pesci
ai leoni
alle stelle
all' universo

ai colori!! pensa a tanti colori!
pensa ai colori dell' arcobaleno che verrà oggi!

Meraviglioso! :D





E... Amo questa canzoneeeee!!!!!!!!


domenica 30 gennaio 2011

Articoli e recensioni...

in... Psicologia generale.

Sono alcuni appunti che ho redatto man mano che ho proceduto nello studio... Dunque, non pretendo di dire alcunché di nuovo e originale, né tantomeno mi ergo a specialista del settore. Ho solo pensato di fare qualcosa di utile, per chi - come me, per un motivo o per un altro - si è imbattuto in questa "scienza", ch'è tanto affascinante quanto vasta. Garantisco, tuttavia, sulla rigorosità del lavoro svolto. Si troveranno anche pagine con riflessioni dedicate a quei "classici" di psicologia e di pensiero, che sono mio quotidiano nutrimento di studio e di vita.

Ma forse, se c'è in questo blog davvero qualcosa di originale, è quello di aver legato quasi ogni pagina ad un momento di pura poesia, a "ritratti" - specchio intimo della sensibilità del loro autore, - a tentare un "esperimento" che credo (senza vanagloria) unico nel suo genere: dare vita allo "schema", che parla dell'uomo seppure ci appaia mera nozione, fissandolo nell'immagine che forse più si avvicina alla sua cifra autentica e vera..

In questa sezione, potrete trovare miei "articoli" e recensioni su alcuni dei grandi classici della psicologia.

Ma questo studio, al di là del suo pretesto contingente, mi ha aperto un nuovo mondo e mi ha insegnato un nuovo modo di "percepire" e di accogliere la realtà, in quei grandi problemi dell'uomo.

Vi confesso che nutrivo una certa diffidenza nei confronti della psicologia come scienza: ho sempre odiato categorie e leggi generali, quando si parla di esseri umani. Già con il termine "definizione" si impongono limiti i quali non si concernono affatto con l' "essere" in quano tale.

Tuttavia, la scoperta di quella "terza via", nella ricerca psicologica, che propugna ed auspica un incontro autentico con l' uomo, che non si propone come dogma, bensì come ipotesi di "relazione di aiuto", e che non disdegna il dialogo e l'insegnamento delle culture "altre"; quella terza via, ch'è la "psicologia umanistica" o "transpersonale" (bersaglio spesso di acide denigrazioni da parte della psicologia accademica sperimentale),

mi ha dato la possibilità di conciliare questa scienza alla mia formazione più propriamente "filosofica" e "anarchica" (in senso lato), al mio modo di concepire l'esistenza , ma soprattuto:

L' Uomo nella sua esistenza.


LA PERCEZIONE

Definizione ed introduzione. L'elaborazione degli stimoli sensoriali. Il problema della costanza percettiva. Il problema della percezione dello spazio. Il problema della percezione delle qualità espressive e della causalità. La percezione del tempo. Ulteriori fattori che influenzano la percezione.

Definizione ed introduzione.

Con una definizione piuttosto moderna, possiamo dire che la "percezione" è il processo mediante il quale traiamo informazioni sul mondo nel quale viviamo.

*Se vogliamo, invece, raccogliere le caratteristiche dell’atto percettivo, possiamo dire che esso è:

- primitivo ed immediato (nel senso di non intellettuale e riflesso);

- oggettivo (nel senso di essere legato a condizioni esterne al percepiente);

- globale ed unitario (nel senso di non essere una pura eccitazione puntuale).

In linea generale, distinguiamo 2 modelli di approccio nell’esame dei processi percettivi:

1 modello (di realismo) ingenuo: afferma la mera ed incontestata corrispondenza fra realtà fisica e realtà percettiva;

2 modello neurofisiologico (di realismo critico): c'insegna che la catena dei processi ha una direzione del tutto diversa: dall’oggetto, fonte degli stimoli, alla stimolazione dei recettori, alla conduzione centripeta degli impulsi fino ai processi corticali. L’oggetto percepito è correlato strettamente con questi ultimi processi e non immediatamente con l’oggetto stimolante.

*Il passaggio da un atteggiamento di realismo ingenuo ad un atteggiamento di realismo critico può essere facilitato richiamando a scopo dimostrativo alcune situazioni quotidiane:

- assenza fenomenica in presenza di oggetti fisici (ad es., incapacità nell’uomo di percepire ultravioletti ed ultrasuoni…);

- presenza fenomenica in assenza di oggetti fisici (ad es., silenzio, buio, triangolo di Kanizsa…);

- discrepanza fra oggetto fenomenico e corrispondente oggetto fisico (ad es., le illusioni, nello specifico quelle "ottico-geometriche"…).

*Infine, uno dei problemi classici della percezione (specificamente, quella visiva) è riassumibile nelle 2 canoniche posizioni de:

a l’ "innatismo" (Cartesio e Kant): sostiene che l’uomo nasce già con una propria peculiare capacità percettiva;

b l’ "empirismo" (Berkeley e Locke): sostiene che l’uomo impara attraverso l’esperienza del mondo circostante la maniera di percepirlo.

Questi 2 indirizzi, trasferitisi col nascere della psicologia sperimentale dal campo più prettamente filosofico a quello appunto psicologico, sono passibili – secondo la maggior parte degli psicologi contemporanei – di una opportuna e feconda integrazione.

L’elaborazione degli stimoli sensoriali.

L’elaborazione degli stimoli sensoriali non deve far pensare ad un processo passivo, bensì ad una ricerca di significati, come descritto dagli psicologi della Gestalt, che ne stabilirono alcune leggi e principi (Wertheimer, 1923; Katz, 1948…):

1 l’organizzazione figura-sfondo, dov'è possibile interpretare la figura oppure lo sfondo. C’è una forte tendenza a localizzare l’area vista come figura più vicina di quella vista come sfondo. Rubin (1921) ha dimostrato che questa organizzazione obbedisce a determinate condizioni in base alle quali è possibile prevedere quale zona del campo acquisterà il ruolo di "figura" rispetto ad altre zone. Tra le più importanti di tali condizioni sono la grandezza relativa delle parti, i loro rapporti topologici ed i tipi dei loro margini.

2 Il completamento della figura, per cui si tende a percepire una figura come intera anche se una parte di essa è nascosta;

3 Il raggruppamento, per cui un insieme di elementi viene considerato un gruppo; il principio alla base della formazione di un gruppo può essere la vicinanza, la somiglianza o il destino comune;

4 Il movimento apparente.

5 Le leggi della segmentazione del campo visivo. Concorrono alla sua organizzazione e alla costituzione dell’oggetto percettivo e sono:

- prossimità: elementi vicini fisicamente tendono ad essere raggruppati;

- somiglianza: elementi simili tendono ad essere raggruppati;

- buona prosecuzione: elementi che formano linee rette o curve regolari tendono ad essere raggruppati;

- chiusura: quando ad una figura manca una parte, tendiamo a percepirla come chiusa e completa;

- destino comune: elementi che si muovono nella stessa direzione tendono ad essere percepiti come una unità;

- esperienza passata (unico fattore empirico): elementi percepiti in una loro posizione spaziale, cui si è abituati, possono non essere percepiti in posizioni insolite;

- pregnanza (o "buona gestalt"): elementi imperfetti tendono ad essere percepiti come figure "buone".

Il problema della costanza percettiva.

Il problema della costanza percettiva nasce dal rilievo che l’identità, la grandezza e la forma d'un oggetto possono rimanere invariate anche quando la proiezione retinica dello stesso oggetto varia di grandezza e forma al variare dei rapporti spaziali fra oggetto fisico e osservatore. Insomma, attribuiamo caratteristiche permanenti ad oggetti variabili.

a La costanza degli oggetti: è data dall’invariabilità dei rapporti tra gli elementi di rilievo che abbiamo nel complesso della situazione stimolante.

b La costanza di grandezza: dipende dal rapporto tra la grandezza reale dell’immagine retinica e la distanza apparente dell’oggetto, valutata attraverso gli indizi di profondità. ("Legge di Emmert"; esperienza della "camera distorta")

c La costanza di forma: dipende dal rapporto tra la forma dell’immagine retinica e l’inclinazione apparente dell’oggetto, percepibile utilizzando gli indizi che lo rivelano.

La psicologia strutturalista considera il fenomeno della costanza percettiva un processo spontaneo di autoregolazione, mentre la psicologia che ammette il riferimento all’esperienza lo considera un processo integrativo di adattamento ad una realtà che fa comodo stabilizzare.


Il problema della percezione dello spazio o della distanza.


Per "percezione dello spazio" si intende "la percezione delle caratteristiche geometriche e spaziali dei singoli oggetti (loro grandezza, volume, orientamento…) oltre a quella della distanza tra oggetto e soggetto che osserva, e tra i vari oggetti stessi".

La percezione dello spazio pone il problema di come sia possibile vedere in modo tridimensionale, quindi valutando distanza e profondità, a partire dalla proiezione retinica che, essendo su una superficie, è a due dimensioni. Ebbene, i fattori che intervengono sono i seguenti:

a indizi fisiologici (la visione stereoscopica). La visione stereoscopica rende possibile apprezzare distanza e profondità attraverso la convergenza degli occhi (per cui più è vicino il punto d’osservazione, maggiore è la convergenza necessaria) e la disparità delle immagini retiniche (per cui l’occhio sinistro non coglie, per effetto della sua distanza dal destro, la stessa immagine). La combinazione di questi due fattori fisiologici non sarebbe sufficiente se non intervenissero gl'indizi psicologici che, nella visione monoculare, consentono di apprezzare distanza e profondità in assenza dei meccanismi della visione binoculare.

b indizi psicologici:

1 "pittorici":

- grandezza relativa: a parità di condizioni, di due oggetti di grandezza diversa quello di maggiori dimensioni è percepito più vicino;

- sovrapposizione: un oggetto che copre parzialmente un altro oggetto è percepito come più vicino (ma il fenomeno è complicato da ulteriori fattori, studiati da Setter (1956): grandezza (una figura più grande è vissuta come davanti ad una più piccola), struttura (una figura con "buona gestalt" viene vissuta come davanti ad una figura più articolata e complessa); movimento (una figura in movimento viene vissuta preferibilmente come situata davanti ad una figura immobile);

- chiaroscuro: aiuta a delimitare i contorni delle figure tridimensionali;

- luminosità: a parità di altre condizioni, l’oggetto più luminoso è percepito come più vicino;

- prospettiva aerea: l’oggetto che dà un’immagine più chiara e dettagliata è percepito più vicino;

- prospettiva lineare;

- gradienti della densità di tessitura.

2 "legati al movimento".

La condizione necessaria, perché abbia luogo una percezione visiva di movimento, è l’esistenza di una modificazione temporale nello stato della stimolazione della retina. Qualora questa sia omogeneamente stimolata nel tempo, non abbiamo le premesse per la percezione del movimento. La modificazione temporale, inoltre, non deve essere né troppo lenta né troppo rapida, perché esiste una soglia inferiore e una superiore di velocità per la percezione del movimento.

- Il movimento stroboscopico: sta alla base del cinematografo, dove l’illusione del movimento è creata dalla rapida successione di stimoli immobili separati; una forma più semplice di movimento stroboscopio è quella nota come "fenomeno phi" o "beta movimento", dove la rapida successione nell’accensione di una serie di lampadine è percepita come un movimento effettivo della luce. Wertheimer e Korte hanno evidenziato che l’impressione di movimento si ha solo per intervalli ottimali di tempo e di spazio fra i due stimoli, e per valori ottimali di intensità dei medesimi stimoli.

- Il movimento indotto: si ha quando il soggetto percepisce il movimento dell’oggetto, mentre invece a muoversi è lo sfondo.

Il problema della percezione delle qualità espressive e della causalità.

a L’espressività degli oggetti.

*Oltre che la percezione di oggetti, esiste anche una complessa problematica riguardante la percezione del prossimo, ovvero la "percezione sociale". La psicologia associazionistica intende questo processo in termini di "empatia", vale a dire che noi riusciamo a cogliere l’espressività dei comportamenti altrui attraverso un confronto col nostro comportamento, quando ci troviamo in quello stesso stato d’animo. La psicologia della "gestalt" avanza invece l’ipotesi che la comprensione dell’espressione (sia degli altri individui sia in generale di oggetti) sia basata, più che sull’apprendimento, sulla struttura dell’evento: ovvero, fa dipendere la strutturazione del percetto da capacità neurologiche inerenti a una legge di "isomorfismo" tra mondo fisico, organico e psicologico, che va oltre il mero dato sensoriale, e fa sì che non esistano differenze essenziali tra il momento percettivo e quello concettuale della conoscenza.

*Negli oggetti, cogliamo una serie svariata di qualità, che secondo Metzger (1966) possono essere così classificate:

- qualità sensoriali o semplici o primarie: sono presenti anche se riduciamo lo stimolo ad un’area puntiforme, e sono specifiche per un preciso organo di senso;

- qualità globali o formali o secondarie: sono estese a tutta la configurazione nel suo insieme e sono tali da emergere solo dall’esame del tutto. Queste, a loro volta, comprendono:

*qualità strutturali: che caratterizzano la forma e il disegno architettonico dell’oggetto;

*qualità costitutive;

*qualità espressive.

b Nessi causali fra gli oggetti.

Sulla base di innumerevoli osservazioni (che prevedevano figure geometriche spostantesi su uno schermo: un oggetto B entra in movimento in presenza di un oggetto A che già si muove: l’osservatore comune ritiene che B si sia mosso a causa di A, benché tra i due non esista alcun rapporto causale), Michotte (1954) ha dedotto che l’ "impressione di causazione" è un dato percettivo immediato, legato alla struttura degli eventi cinetici, e indipendente dalla esperienza del soggetto.


La percezione del tempo.

La consapevolezza del processo temporale (cioè del trascorrere del tempo) genera a livello psicologico l’esperienza temporale.

Fondamentali, in tal senso, i seguenti fattori:

a stima del tempo (o senso della durata del tempo): si riferisce alla capacità di valutare la durata di un lasso di tempo, relativamente breve, senza l’uso di strumenti;

b orientamento temporale: in senso stretto, indica la capacità appunto di orientarsi nel tempo e di situare in esso gli eventi senza l’ausilio di strumenti particolari;

c prospettiva temporale (o orizzonte temporale): rappresenta l’arco di tempo psicologico in cui l’individuo vive; essa consiste dunque nel vissuto psicologico della persona che, vivendo nel presente, è in grado di avere rappresentazioni del passato e del futuro, le quali dirigono il suo comportamento, nel senso che un’azione è determinata anche dalle aspettative per il futuro e dalle esperienze passate.

Ulteriori fattori che influenzano la percezione.

Infine, bisogna tener conto di altri fattori (soggettivi) che influenzano la percezione:

a i bisogni organici tendono a determinare ciò che è percepito;

b ricompense e punizioni hanno influenze piuttosto considerevoli riguardo ciò che è percepito;

c il valore individuale degli oggetti influisce sulla velocità di riconoscimento;

d il valore dell’oggetto influisce sulla grandezza percepita;

e le differenze individuali (o la personalità) dei soggetti percepenti hanno influenze piuttosto considerevoli riguardo ciò che è percepito.


I PROCESSI SENSORIALI

Cenni introduttivi.

*I sistemi percettivi consentono di entrare in rapporto col mondo esterno, elaborando gli stimoli che da questo provengono. Nel processo di informazione sensoriale si distinguono 2 fasi: la "sensazione" e la "percezione". La prima riguarda il riconoscimento degli stimoli da parte degli organi di senso; la seconda, l’organizzazione e l’interpretazione delle informazioni sensoriali. "Sentire" uno stimolo significa esserne consapevole; percepirlo vuol dire capire che cosa è.

La relazione tra gli stimoli fisici e l’esperienza sensoriale sono studiate dalla "psicofisica", termine coniato da G. Fechner.

*Uno stimolo, oltre a essere adeguato al suo organo sensoriale, deve essere abbastanza intenso da stimolarlo. L’intensità minima in grado di stimolare un recettore è la "soglia assoluta", mentre il più piccolo cambiamento di intensità registrabile fra due stimoli è definito "soglia differenziale".

*La relazione tra stimolo e capacità di distinguerlo dipende dalla intensità dello stimolo di partenza, ma il rapporto tra la differenza minima percepita (dI, "delta I") e lo stimolo di partenza (I) è costante, come definito dalla cosiddetta "legge di Weber":

dI/I=K

[da ricordare che il rapporto rimane costante solo per valori medi dello stimolo, mentre deve essere aumentato per valori estremi].

*Alla legge di Weber, seguì la "legge di Fechner", secondo cui stimoli sempre più intensi sono richiesti per produrre un aumento costante dell’esperienza sensoriale:

S = K log I

(il valore della sensazione S è direttamente proporzionale al logaritmo naturale del valore dello stimolo I)

*Ulteriori osservazioni sulla sensibilità di un individuo a fronte di uno stimolo hanno portato alla formulazione della "teoria della detezione del segnale", che tiene in considerazione i criteri di giudizio e lo stato d’animo dell’individuo come variabili in grado di influenzare la percezione dello stimolo. Questa teoria stabilisce che la sensazione dipende sia dallo stimolo sensoriale che dalla volontà della persona a reagire.

Infine, la risposta allo stimolo è anche influenzata dal "fenomeno dell’adattamento sensoriale", per cui una sensazione è influenzata da una precedente esperienza sensoriale.

L’occhio.

*"Occhio" è il nome che viene dato a un organo pari situato in maniera simmetrica nelle cavità orbitali dello scheletro facciale: è dotato di una buona mobilità ad opera della muscolatura estrinseca che lo mantiene anche in posizione rispetto alle pareti della cavità orbitale. Anatomicamente, è di forma sferica, un po’ appiattita in senso verticale (bulbo oculare), pesa circa 7 gr. ed è costituito da 3 membrane concentricamente sovrapposte; dall’esterno all’interno: la sclerotica, la uvea e la retina.

*La sclerotica costituisce la membrana superficiale di rivestimento, dura, opaca, di colorito biancastro. Prosegue, anteriormente al polo del bulbo oculare, in un tessuto trasparente detto cornea. L’uvea, membrana vascolare, aderisce alla superficie interna della sclerotica per i suoi 2/3 posteriori circa (coroide), anteriormente forma per un breve tratto numerose pieghe raggiate (corpo ciliare) e termina disponendosi come un diaframma (iride) attorno ad un foro (pupilla) il cui diametro varia - sotto il controllo del sistema parasimpatico - col variare dell’intensità della luce e per l’azione delle fibre muscolari. La retina è la tunica nervosa dell’occhio, tappezza la parete opposta all’iride.

In condizioni normali, i raggi luminosi provenienti da un'immagine che si sta osservando, penetrano i nostri occhi attraversando nell'ordine: cornea; iride (al cui centro si trova il foro della pupilla); cristallino che, grazie ad un sistema muscolare ad esso collegato, può contrarsi o dilatarsi per poter portare a fuoco l'immagine sulla retina, comportandosi come una lente a "fuoco variabile"; corpo vitreo (o "umor vitreo") che rifrange ulteriormente i raggi luminosi deviandolo verso il punto di fuoco; retina, composta da coni e bastoncelli, che hanno il compito di trasformare gli impulsi luminosi in impulsi elettrici da inviare, poi, al cervello (ed è la parte su cui viene messa a fuoco, capovolta, l'immagine che stiamo osservando); nervo ottico che trasporta gli impulsi elettrici alle varie parti della nostra corteccia cerebrale cui è stato demandato il compito di elaborare ed interpretare ciò che stiamo vedendo.

Una parte molto delicata della formazione di un'immagine attraverso i nostri occhi, è quella che si svolge sulla retina ove si trovano, come detto, delle particolari cellule fotoricettrici chiamate coni e bastoncelli.

*I coni sono cellule altamente sensibili alle variazioni cromatiche, cioè ai colori, ed in un occhio normale il loro numero varia, mediamente, tra i 6 e 7 milioni di elementi; esse sono in grado di interpretare e reagire in maniera adeguata alle diverse lunghezze d'onda luminose da cui vengono eccitate. I coni sono situati, prevalentemente, nella zona centrale del tessuto retinico e ci forniscono la cosiddetta "visione fotopica", cioè, sono adatti alla ricezione di immagini fortemente illuminate ed interessano, come si può intuire, la visione diurna. Le dimensioni dei coni sono di circa 2 micrometri e ogni singolo cono è collegato ad un'unica terminazione nervosa (neurone).

I bastocelli, invece, hanno il compito di prendersi cura della morfologia dell'immagine osservata e la loro sensazione ottica prende il nome di "visione scotottica". I bastoncelli sono molto più numerosi dei coni e il loro numero varia, sempre in un occhio normale, tra il 75 e i 150 milioni di cellule. Queste ultime hanno una dimensione di circa 1 micrometro, sono distribuite quasi uniformemente sul tessuto retinico e ognuna di loro può essere collegata a diversi neuroni contemporaneamente. La capacità di vedere oggetti debolmente luminosi e poco estesi, considerando perfettamente efficienti tutte le altre parti costituenti il sistema occhio-cervello, dipende essenzialmente dalla distribuzione e dal numero proprio dei bastoncelli presenti sulla nostra retina. Quindi da loro dipende il potere risolutivo dei nostri occhi (e dalla dilatazione della pupilla).

*Esiste un limite al di sotto del quale l'immagine neuronale non può andare, ed è quello determinato dalla distanza delle cellule stesse: l'immagine per poter essere rilevata non potrà essere più piccola della distanza che c'è tra neurone e neurone a meno che, la stessa, non cada casualmente su di un singolo fotoricettore.

*L’incrocio delle fibre nervose visive è dimostrato dal fatto che la parte sinistra del cervello "vede" la metà destra del campo visivo, e la parte destra "vede" la metà sinistra. La retina di ogni occhio riceve l’immagine intera di un oggetto; gli impulsi lì generati dalle immagini sono portati dagli occhi lungo i nervi ottici. Tuttavia, al chiasma, le fibre di ogni nervo ottico si dividono in due fasci. La diramazione interna che viene dall’occhio destro passa oltre e si congiunge alla diramazione esterna che viene dall’occhio sinistro prima di continuare verso il corpo genicolato laterale sinistro. Le altre diramazioni si avviano verso il corpo genicolato laterale destro. Entrambi i fasci continuano poi fino all’area visiva della corteccia.

L’orecchio.

*Fisiologia dell'orecchio e trasmissione del suono. L’orecchio, organo dell’udito e parte del complesso sistema dell’equilibrio, si trova in gran parte alloggiato in un osso del cranio, bilaterale e simmetrico, detto osso temporale, che ne protegge le delicate strutture.

Da un punto di vista anatomico, ed in base a differenze funzionali e di sviluppo, l’intero organo viene suddiviso in 3 parti, note come:

a Orecchio esterno. E’ formato dal padiglione auricolare, l’unica parte dell’orecchio visibile all’esterno, e dal condotto uditivo esterno. Il padiglione auricolare è una struttura cartilaginea a forma di conchiglia, atta a raccogliere nel modo migliore le onde sonore e a convogliarle nel condotto uditivo (un canale osteocartilagineo), il quale a sua volta le convoglia alla membrana timpanica (che lo separa, così, dall’orecchio medio), che entra in vibrazione in presenza appunto di onde sonore.

b Orecchio medio. E' costituito in prevalenza da una cavità piena d’aria e rivestita da un sottile strato di mucosa all’interno dell’osso temporale. Nella cavità alloggiano i tre ossicini dell’orecchio, martello, incudine e staffa (catena ossiculare), che intervengono come amplificatori della vibrazione timpanica. La connessione tra la membrana del timpano e la catena ossiculare avviene a livello del martello, che aderisce alle fibre della membrana. La cavità dell’orecchio medio, detta cassa del timpano, è connessa all’ambiente esterno attraverso un sottile condotto detto tuba di Eustachio: questo è un canale in genere chiuso, che però si apre eseguendo determinati movimenti muscolari (sbadigliando o deglutendo). La sua funzione è di equilibrare la pressione esercitata sulla superficie esterna. La staffa, l’ultimo dei tre ossicini, s'inserisce in una piccola nicchia, la finestra ovale, permettendo il passaggio dell'onda sonora dell'aria alle strutture dell'orecchio interno.

c Orecchio interno. L’orecchio interno è una complessa struttura, contenente nei suoi vari compartimenti dei liquidi (perilinfa ed endolinfa) e situata all’interno dell’osso temporale (labirinto). Si distingue una parte anteriore dalla forma a spirale come una chiocciola - la coclea, che traduce l'onda sonora in impulso nervoso - ed una parte posteriore - labirinto posteriore - attraverso il quale l’orecchio partecipa alla regolazione dell’equilibrio. La coclea contiene l’organo dell’udito vero e proprio, detto organo del Corti che si sviluppa lungo tutto il percorso a spirale della coclea.

Le cellule cocleari di quest’organo rappresentano i veri e propri recettori uditivi del nostro orecchio e si connettono alle fibre nervose del nervo acustico, che uscendo dall’osso temporale attraverso il condotto uditivi interno, connette l’orecchio al nostro sistema nervoso.

La decodificazione delle informazioni uditive avviene nell'area della corteccia del lobo temporale, detta area acustica, dove esiste una rappresentazione "tonotopica", ossia una corrispondenza tra le diverse zone corticali con le diverse frequenze degli stimoli sonori.

*Il suono. Il suono è dal punto di vista fisico una vibrazione della materia che si trasmette sotto forma di "onde lungitudinali periodiche" attraverso la materia stessa, sia essa allo stato solido, liquido o gassoso. In assenza di materia (vuoto) non è possibile la propagazione dell'onda sonora.

Ogni qual volta un onda sonora deve passare tra un tipo di mezzo ed un altro (ad es., aria-liquido), una parte del suono viene riflessa e solo una porzione originale dell'intensità iniziale dell'onda viene effettivamente propagata. La trasmissibilità del suono è maggiore quanto più è denso il mezzo in cui si propaga (solido > liquido > aria).

*Caratteristiche del suono. Ciascun suono presenta 3 caratteristiche fisiche determinate:

- L'intensità, ovvero la pressione sonora dell'onda, percepita dall'orecchio umano come volume (piano - forte). L'unità di misura dell'intensità (volume) di un suono è il decibel (dB).

- La frequenza, ovvero il numero di cicli al secondo dell'onda sonora (ovvero, il numero delle lunghezze d'onda che passano per un punto in 1 sec.), inversamente proporzionale alla "lunghezza d'onda" dell'onda stessa. In base alla frequenza distinguiamo suoni alti (ad alta frequenza, cioè acuti) e suoni bassi (a bassa frequenza, cioè, gravi). L'unità di misura della frequenza è l'Hertz (Hz, inteso come cicli al secondo). Per le frequenze superiori a 1000 Hz, si usa spesso il suo multiplo il KiloHertz (kHz). L'orecchio umano, in condizioni normali è in grado di percepire suoni con frequenza compresa tra 16 Hz e 16 Khz (16.0000 Hz). Al di sopra ed al di sotto di questo campo di frequenze, parliamo rispettivamente di ultrasuoni ed infrasuoni, che sono percepibili da diverse specie animali, ma non dal nostro orecchio.

La composizione in frequenze di un determinato segnale sonoro, permette di effettuare una distinzione tra suono e "rumore", intendendo per rumore un segnale sonoro caratterizzato da frequenze diffuse, caotiche, disarmoniche. Quando un suono è rappresentato solo dalla sua frequenza fondamentale, ovvero è privo di armoniche, viene definito "tono puro".

- Il timbro, ovvero la composizione in frequenza di un determinato suono.

Altri sensi.

*Olfatto. Questa modalità sensoriale ci permette di saggiare la qualità chimica del mondo. I suoi recettori sono delle cellule pluriciliari impiantate, insieme a delle cellule di sostegno, in un epitelio posto in una piccola area interne della cavità nasale superiore detta regione olfattiva. L’annusamento porta ad un movimento dell’aria a contatto con tale regione la quale, di solito, è a contatto con dell’aria in quiete, dato che il flusso d’aria respiratorio sposta l’aria attraverso la cavità nasale inferiore e media e non interessa quella superiore. Non sia sa ancora con precisione attraverso quale meccanismo le sostanze odorose disperse nell’aria riescano ad eccitare queste cellule pluriciliate, anche se ciò, forse, avviene con la mediazione chimica di enzimi presenti nella sostanza gelatinosa che circonda le ciglia. La soglia di sensibilità olfattiva dell’uomo è molto bassa.

*Gusto. Anche questa modalità sensoriale ci permette di saggiare la qualità chimica del mondo. Le cellule recettoriali sono raccolte in gruppi di 40-50, detti bottoni gustativi, collocati sia nelle varie forme (circonvallate, a fungo, sfrangiate) di papille gustative della mucosa linguale che, isolatamente, sul velo palatino, sul faringe e sulla mucosa delle guance. Esistono recettori per 4 tipi di gusti fondamentali così distribuiti: per il dolce sulla punta della lingua, per il salato sui bordi anteriori della lingua, per l’aspro sui bordi posteriori e per l’amaro sul dorso della lingua. La soglia di sensibilità gustativa dell’uomo è piuttosto bassa.

*Tatto. I recettori del tatto (corpuscoli di Meissner) sono diffusi su tutta la cute, ma particolarmente concentrati alle estremità del corpo. Questa disposizione si spiega con la funzione tattile di esplorazione dell’ambiente circostante.


BIBLIOGRAFIA E RISORSE DI PSICOLOGIA

Bibliografia essenziale dei testi utilizzati per l'apparato documentario:

R. Canestrari Psicologia generale e dello sviluppo CLUEB

P. C. Cicogna Psicologia generale Carocci

Darley (et alii) Psicologia (2 voll.) Mulino

U. Galimberti Psicologia Garzanti

Gargione Psicologia Di Fraia Ed.

Harrè (et alii) Psicologia (dizionario) Laterza

Mecacci Introduzione alla psicologia Laterza

L. Tondo Compendio di psicologia Carocci

Risorse su internet:

Un ottimo ed esauriente monitoraggio delle risorse di psicologia sul web potrete trovarlo nel sito:

http://www-psicologia.psibo.unibo.it/scafelet.htm

Infine, sempre in tema, segnalo l'interessante sito di un amico-collega:

http://digilander.iol.it/pensoasi/